martedì 2 febbraio 2016

Little sister (Kore-eda 2015)

Liberamente ispirato ad una graphic novel (Umimachi's Diary - Yoshida Akimi), il nuovo film di Hirokazu Kore-eda torna ad analizzare le dinamiche familiari, come faceva il recente e altrettanto ben riuscito Father and son (2013). 
Il Giappone e il soggetto incentrato sulla famiglia fanno istintivamente pensare alla filmografia di Yasuhiro Ozu, ma Kore-eda, che pure posiziona spesso la mdp in basso, la muove raramente e con molta lentezza al pari del grande maestro, sembra volere approfondire queste tematiche non nella semplice quotidianità, come faceva con la sua leggiadria Ozu, bensì sconvolgendo una più o meno tranquilla "normalità" con qualcosa che rimette tutto in discussione, ma che una volta integrata, arricchisce la vita di tutti i personaggi arrivando persino a migliorare la serenità iniziale.
Il meccanismo narrativo è, in buona sostanza, quello della commedia classica, che non sconfina mai nel dramma vero e proprio - come invece accadeva splendidamente nei film di un altro grande cineasta nipponico, Kenzo Mizoguchi -, poiché le rotture vengono sempre ricomposte in un nuovo equilibrio.
Anche in Little sister, quindi, la famiglia protagonista è un gruppo sui generis: se nel film precedente l'evento critico scatenante era uno scambio di neonati che metteva in relazione due famiglie totalmente differenti, qui lo è un funerale di un uomo, durante il quale le tre figlie maggiori, Sachi, Yoshino e Chika, conoscono una nuova sorella, Suzu, che il padre ha avuto dal secondo matrimonio, e decidono di chiederle di trasferirsi a vivere con loro a Kamakura, tanto più che altrimenti dovrebbe rimanere sola o con la terza moglie del padre, Yoko, con cui ha pessimi rapporti...

Piccole donne incontra il Giappone e si trasforma in un'elegia della sorellanza ampliata, socialmente all'avanguardia, con un tocco di tenerezza senza eguali. Ben delineati i personaggi, quasi tutti molto approfonditi, e ottima la sceneggiatura che dà piena tridimensionalità.
Sachi (Haruka Ayase) è la sorella più grande, una capofamiglia in tutti i sensi: la più responsabile, la più decisionista (non a caso è lei a proporre a Suzu di trasferirsi, presa da un impeto improvviso e senza condividere prima la sua idea con le altre), la più affezionata alla casa e in fondo a quel tipo di vita che difficilmente pensa di poter abbandonare. Legata sentimentalmente ad un pediatra dell'ospedale in cui lavora come infermiera, infatti, non spinge più di tanto quest'ultimo a chiedere il divorzio dalla donna con cui è sposato, affetta da disturbi mentali, per la quale prova inevitabili sensi di colpa. È indubbiamente quella che ha digerito meno l'abbandono della madre, che lasciò anche loro per allontanarsi dal padre, e come le dimostra quando la rivede dopo anni (ma anche in questo caso il contrasto verrà appianato dal dialogo e dai gesti, soprattutto davanti alla tomba della nonna). 
Yoshino (Masami Nagasawa) è la classica "seconda figlia", più libera, meno attenta all'etichetta, in perenne contrasto con Sachi, di cui fatica a riconoscere l'autorità, ma che in fondo è la prima a considerare una seconda mamma nei momenti di difficoltà. Lavora in banca e passa da un ragazzo all'altro apparentemente incapace di innamorarsi davvero, ma ogni volta che viene scaricata si consola con l'alcol, evidenziando le sue debolezze.
Chika (Kaho) sembra la più serena, ma anche la meno ambiziosa delle tre: lavora in un negozio di articoli sportivi con un ragazzo che non convince assolutamente le sorelle maggiori, che non lo reputano all'altezza della sorella, criticata perché si accontenta troppo anche in amore.
Suzu (Suzu Hirose), infine, è di fatto una seconda primogenita, e molto presto Yoshino e Chika notano che la sua personalità ha delle nette consonanze proprio con Sachi. Si integra facilmente nella nuova scuola, dove trova posto anche nella squadra di calcio mista delle Oktopus, dove la sua bellezza gli vale le prime attenzioni dei ragazzi, a cui non appare ancora interessata.

Tante le sequenze dense di significati, a cominciare dal funerale e dal bellissimo primo contatto delle quattro ragazze, perfettamente reso in immagini da una passeggiata insieme, ripetuto alla stazione del treno, dove Sachi farà la proposta a Suzu, e quindi per tutto il film, fino a vederle camminare a piedi nudi sulla spiaggia.
La responsabilità di Sachi comporta anche le maggiori critiche, che naturalmente arrivano dalla generazione precedente: un'anziana zia le imputa di aver sbagliato ad accogliere Suzu, di non potersi fidare poiché in fondo non la conosce e che, soprattutto, così facendo allontana il momento del proprio matrimonio, come conditio sine qua non di un appagamento sociale.
Molto belle anche le scene ambientate nel ristorante di un'anziana amica di famiglia, Sachiko Ninomiya (Jun Fubuki) - peraltro il cognome di una delle famiglie di Father and son -, che conosce le tre sorelle da sempre e che tratta con istantaneo affetto anche Suzu, vicino alla quale trovano spesso un amico (Lily Franky, l'ottimo attore visto già in Father and son) che conosceva bene loro padre.
Proprio la donna pronuncia una delle frasi più orientali del film - "il valore di una donna è pari alla quantità dei suoi segreti" -, così come il suo stesso ristorante è l'occasione per il regista di mostrare molto spesso le ragazze mentre mangiano. È questo il gesto di quotidianità più costante del film, in cui vediamo, prima che altrove, approfondirsi le relazioni tra le sorelle, come dimostra il materno "non ti ingozzare" detto da Sachi a Suzu, proprio come all'inizio del film diceva a Chika, segno della completa integrazione dell'ultima arrivata. D'altronde, che il cibo sia importante a livello simbolico, la sceneggiatura ce lo dice chiaramente parlando di "sapore di nonna" e "sapore di papà", legato a particolari piatti, o di delusioni d'amore affrontate con lo stesso menu persino da Sachi.
Straordinario come Kore-eda, inoltre, riesca a mostrare il momento in cui Sachi e Suzu, ormai legatissime, trovino il modo di perdere il controllo e, isolate dal mondo, dopo una passeggiata in collina, urlino nel vuoto la loro rabbia: la più piccola grida un liberatorio "Yoko ti odio!!!", idealmente indirizzato all'ultima moglie del padre, e a quel punto anche Sachi si lascia andare ad un "papà sei uno stupido!!!", che evidenzia la sua reale frustrazione.
Infine, le immagini più poetiche, dalla pedalata di Suzu e di un suo amico sotto gli immancabili ciliegi in fiore, a Sachi che misura l'altezza di Suzu ormai quindicenne allo stesso stipite della casa dove sono segnate le misure delle prime tre sorelle, ma soprattutto quelle delle quattro protagoniste che dalla finestra guardano l'albero di prugne del loro giardino e che più avanti, vestite con gli yukata -- i tipici kimono estivi e da spettacoli pirotecnici - festeggiano con le stelle filanti luminose, dimostrazione che l'amore per la tradizione possa essere saldo anche nelle nuove generazioni, pur se interpretato con meno chiusura e maggiore capacità di aprirsi ad un'idea diversa di famiglia...

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